Dal 20 gennaio 2025, giorno dell’insediamento di Donald Trump, la “guerra dei dazi” è tornata a dominare l’agenda geopolitica globale. Con tariffe che colpiscono Cina, Unione Europea, Canada, Messico e decine di altri Paesi, gli Stati Uniti hanno acceso una miccia che minaccia di destabilizzare l’economia mondiale. Ma dietro i numeri – dazi al 34% sulla Cina, 20% sull’UE, 25% sulle auto europee – c’è molto più di una disputa commerciale: è una partita strategica per ridefinire gli equilibri di potenza.
Le origini del conflitto
La strategia di Trump non è nuova. Durante il suo primo mandato, i dazi furono uno strumento per contrastare la Cina e il suo crescente peso economico. Oggi, però, il raggio d’azione si è ampliato. La Casa Bianca giustifica le tariffe come risposta a pratiche commerciali sleali e deficit di bilancia commerciale, ma il vero obiettivo sembra essere politico. Trump usa i dazi per rafforzare il consenso interno, promettendo una reindustrializzazione della “Rust Belt” americana, e per esercitare pressione su alleati e rivali. Ad esempio, i dazi su Messico e Canada (25%) sono stati presentati come leva per ottenere maggiore collaborazione nella lotta al traffico di fentanyl e all’immigrazione irregolare.
Le reazioni globali
La risposta internazionale è stata rapida e variegata. La Cina, colpita da tariffe che in alcuni settori raggiungono il 104%, ha imposto controdazi al 34% sui prodotti americani, segnalando che non intende cedere. L’Unione Europea, pur moderata con dazi al 20%, valuta misure drastiche come lo Strumento Anti-Coercizione, che potrebbe colpire le Big Tech americane, sfruttando il surplus commerciale statunitense nei servizi digitali. Canada e Messico, inizialmente spiazzati, hanno promesso ritorsioni “robuste”. Nel frattempo, Paesi come il Regno Unito (dazi al 10%) e Singapore cercano di negoziare per evitare escalation.
Questa spirale di misure e contromisure rischia di frammentare il commercio globale. Il WTO prevede un possibile crollo del 1,5% del commercio mondiale nel 2025 se la tensione persiste. Le Borse, da Wall Street a Milano, hanno già registrato cali significativi, con settori come l’automotive e la tecnologia particolarmente colpiti.
Gli impatti economici e geopolitici
Sul piano economico, i dazi americani potrebbero generare entrate federali per 182 miliardi nel 2025, ma a costo di un aumento dell’inflazione negli USA e di una riduzione del PIL globale. L’UE, con una stima di -0,4% di crescita, è particolarmente vulnerabile, soprattutto la Germania, mentre l’Italia si mantiene vicina alla media europea. La Cina, nonostante le previsioni di Goldman Sachs che tagliano il PIL 2025 al 4%, potrebbe guadagnare terreno nei mercati asiatici, presentandosi come paladina del libero commercio.
Geopoliticamente, i dazi stanno ridefinendo le alleanze. Gli USA, tradizionalmente promotori del libero scambio, si isolano, spingendo l’Europa verso un riarmo autonomo e una possibile cooperazione con la Cina. L’Italia, in questo contesto, potrebbe giocare un ruolo di mediatrice, sfruttando la sospensione temporanea dei dazi USA-UE per rafforzare il dialogo transatlantico.
Prospettive future
La guerra dei dazi non è solo una questione economica: è un test per la resilienza del sistema globale. Trump, con la sua politica del “pugno di ferro”, scommette sulla capacità degli USA di imporre la propria volontà. Tuttavia, come ammoniva il vicepremier cinese Ding Xuexiang a Davos, un mondo diviso in blocchi contrapposti avrebbe “conseguenze inimmaginabili”. La sospensione di 90 giorni dei dazi USA-UE apre una finestra di negoziati, ma il rischio di una guerra commerciale globale resta alto.
Per i leader globali, la sfida è chiara: trovare un equilibrio tra protezione degli interessi nazionali e cooperazione internazionale. Per l’Italia, è un’opportunità per emergere come attore pragmatico, capace di navigare le turbolenze di un ordine mondiale in trasformazione. Una cosa è certa: il 2025 sarà un anno cruciale per capire chi, in questa guerra, pagherà il prezzo più alto.

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